http://danielagalluccio.blogspot.com/

giovedì 25 giugno 2009

Le reti sociali impongono una ridefinizione del giornalismo

Vai, col compu­ter o col telefonino, su Twitter, la rete basata su micromessag­gi (140 caratteri al massimo) che sta esplodendo negli Usa (un milione di utenti un anno fa, 17 oggi) e nel resto del mon­do, e sprofondi nei più noiosi diari di vita quotidiani che si possano immaginare: gente che racconta «in diretta« a gruppi di amici, ai genitori o a fan (nel caso dei messaggi in­viati da star dello spettacolo o dello sport) cosa sta facendo, cosa sta comprando al super­mercato, a che ora andrà a prendere i figli a scuola. Ma quando il jet della US Air am­mara sul fiume Hudson o quan­do c'è il terremoto a Los Ange­les, la notizia arriva coi messag­gi di Twitter molto prima che sugli schermi della CNN o sui terminali dell'Associated Press: un cambiamento che co­stringe i giornalisti a dotarsi di una nuova «cassetta degli at­trezzi » per affrontare rivoluzio­ni tecnologiche che stanno cambiando il modo di fare in­formazione. Poi arriva la rivolta in Iran e scopri che, con i corrisponden­ti stranieri messi alla porta dal regime degli ayatollah, Twitter diventa l'unico vero canale di informazione su quello che sta accadendo nel Paese: migliaia di ragazzi armati di cellulare che trasmettono brevi messag­gi e immagini della sommossa e della repressione.
E che con Twitter sfuggono alla censura del regime che può oscurare le tv e «militarizzare» i siti Inter­net, ma non riesce a bloccare la rete di micromessaggi che, per funzionare, non ha biso­gno di un indirizzo di posta elettronica. Così il fotogram­ma della morte di Neda rimbal­za su milioni di terminali di tutto il mondo, diventando l'immagine simbolo della rivol­ta. Per l'informazione è un vero cambio di paradigma: fare gior­nalismo diventa (anche) saper dominare le nuove tecnologie, aggirare i muri della censura, ma anche filtrare fonti la cui at­tendibilità è tutta da dimostra­re, visto che, per evitare le «re­tate » della polizia elettronica, devono restare ignoti sia l'iden­tità di chi fornisce la notizia sia il luogo dal quale parte il messaggio. Il cronista deve do­tarsi di nuove antenne e di fil­tri per valutare il flusso di ma­teriale prodotto dal cosiddetto «citizen journalism»: il volon­tariato dei cittadini che produ­cono informazione. La tecnologia diventa la chia­ve di tutto: i governi autoritari cercano di imbrigliarla. Pechi­no all'improvviso impone a Go­ogle di bloccare l'accesso dei suoi clienti cinesi ai siti stranie­ri e stabilisce che tutti i nuovi «personal computer» venduti nel Paese devono incorporare un «poliziotto elettronico»: for­malmente un filtro antiporno, di fatto un disabilitatore dell' accesso a tutti i siti che tratta­no argomenti che hanno rile­vanza politica. A Teheran il go­verno teocratico, che nei mo­menti di maggior tensione arri­va a disattivare l'intera rete te­lefonica, investe massiccia­mente su sistemi di controllo di tutte le informazioni che cir­colano su Internet. Tecnologie fornite da gruppi industriali europei, soprattutto Siemens e Nokia.

Una guerra fatta di filtri e controfiltri, perché per ogni lucchetto elettronico che viene serrato, i «geni» della rete si sforzano di trovare un modo per aggirare la censura. La rapida evoluzione tecno­logica spiazza i regimi autorita­ri, ma mette in affanno anche i canali informativi tradizionali: dopo secoli di carta e inchio­stro, i giornali avevano appena cambiato rotta, ospitando an­che «blog» sui loro siti, quan­do è esploso il fenomeno delle reti sociali, Facebook in testa. Negli Usa giornali e tv hanno cominciato ad adattarsi a que­sta nuova realtà quando è esploso il fenomeno dei micro­messaggi. «Davanti a Twitter», sostie­ne Sree Sreenivasan, «guru» dei nuovi media e docente del­la scuola di giornalismo della Columbia University, «Face­book diventa una roba da Di­ciannovesimo secolo». Il «mi­croblogging » può improvvisa­mente trasformare gente che ha macinato per mesi e mesi solo messaggi banali, in repor­ter, fotografo, cameraman. Co­sì anche il lancio, la settimana scorsa negli Usa, dell'iPhone di ultima generazione, diventa un momento rilevante della battaglia per la ridefinizione dei rapporti di forza nel nuovo «ecosistema» dell'informazio­ne: un terminale capace di ri­prendere immagini molto det­tagliate e di rendere la tv piena­mente accessibile dal cellulare. Tra le varie rivoluzioni attra­versate dai media - crisi dei giornali di carta, crollo delle entrate pubblicitarie dei mag­giori gruppi editoriali e feno­meni come YouTube che insi­diano il mercato televisivo ­quella dei «social network», unita alla diffusione dei telefo­nini «intelligenti», è sicura­mente la novità che sta scon­volgendo in modo più radicale il mondo dei «media».

Mentre gli editori si chiedo­no come affrontare la trasfor­mazione delle notizie in «com­modity » che tende ad azzerar­ne il valore economico, i gior­nalisti sono sommersi dai deca­loghi su come selezionare e usare le nuove fonti, evitando le trappole (brillanti reportage sul Dalai Lama su Twitter sal­vo scoprire, alcuni giorni do­po, che si trattava di un falso) e partecipano a corsi e campi estivi dedicati allo studio dei nuovi «media». Dove le novi­tà, più o meno inquietanti, non finiscono mai: a chi gli chiedeva come sia possibile va­lutare l'attendibilità di un cer­to flusso di micromessaggi, qualche tempo fa il cofondato­re di Twitter, Biz Stone, ha ri­sposto che forse in futuro di­sporremo di un «algoritmo del­la credibilità», basato su un esame grafico dell'attendibili­tà delle notizie fornite da una certa fonte in un dato arco di tempo

sabato 20 giugno 2009

USA: + 10% di disoccupazione e Daniel Seddiqui, un giovane ex disoccupato di San Francisco, combatte la crisi cambiando di continuo lavoro

Dopo 40 colloqui di lavoro andati male a San Francisco, Daniel Seddiqui, 26 anni, laureato in Economia e Commercio, non si e' scoraggiato ed e' partito, con lo scopo di scoprire cosa offrivano gli altri Stati Uniti d'America e realizzare il record di 50 lavori in 50 settimane in 50 Stati diversi.
Attualmente Daniel si trova nel Maryland, fa il cuoco ed e' il suo trentottesimo lavoro.
Finora ha fatto il giardiniere, il macellaio, il meccanico, l'archeologo, il minatore, l'agente di moda, il meteorologo, il caddie in un campo da golf in South Carolina, la statua vivente in Florida e l'organizzatore di matrimoni a Las Vegas.
Sarebbe addirittura riuscito a farsi assegnare una squadra scolastica di football da allenare.
Secondo i medici ha una paranoia nei confronti dei curriculum vitae.
Per seguire la sua avventura http://www.livingthemap.com.
(Fonte: Adnkronos)


 
Wordle: dani