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mercoledì 4 aprile 2007

LA COMUNICAZIONE SOCIALE?

Partiamo dalla differenza tra l'obiettivo della pubblicità commerciale e quello della comunicazione sociale: la pubblicità commerciale si pone l'obiettivo di creare una preferenza di marca per creare profitto; la comunicazione sociale invece intende sensibilizzare l'opinione pubblica su di un determinato argomento senza fini di lucro. Il fine lucrativo può in qualche modo essere ammesso solo se la comunicazione è di tipo collettivo, e non individuale, come nel caso di azioni pubblicitarie quali, ad esempio, l'incremento delle vendite dei libri in Italia o la promozione del turismo a New York dopo l'11 settembre.
Un'ulteriore differenza è che la comunicazione commerciale tende a risolvere dei problemi, mentre la comunicazione sociale, in una qualche misura, tende a crearli."Hai i piedi piatti? Ecco il plantare XX". "Hai l'alito pesante? Ecco un prodotto con cui le donne cadranno ai tuoi piedi." Quindi, una soluzione ai problemi, almeno in teoria.
La comunicazione sociale, invece, presenta dei problemi per indurre un cambiamento nel comportamento: "Non buttare per terra il chewing gum quando hai finito di masticarlo". Non si chiede quindi di comprare un prodotto, ma di cambiare un comportamento abituale. A differenza di quanto si crede, invitare le persone a fare qualcosa per un fine etico o per solidarietà, è molto più difficile che far tirare loro fuori dei quattrini per un prodotto. Molto spesso, poi, nella comunicazione sociale si commettono dei gravi errori di comunicazione.
Ecco alcuni esempi: è necessario fare una campagna per affermare che di droga si muore? No, si sa già. Tra l'altro, il problema, sta proprio all'opposto: il drogato non è una persona che ha paura di morire bensì una persona che ha paura di vivere. Cercare di convincere un tossicodipendente a smettere di drogarsi con un paio di spot televisivi, è veramente velleitario ed ingenuo.
Si possono ottenere alcuni risultati impostando correttamente il problema, come avvenne una decina di anni fa quando il Ministero della Sanità commissionò una campagna sociale, realizzata da Saatchi & Saatchi, in cui per la prima volta il briefing era correttamente impostato: frutto di ricerche e di consulenze di esperti l'approccio era centrato sulla prevenzione all'abitudine alla droga. La campagna era rivolta ai genitori con il messaggio: "La droga li vuole deboli, rendiamoli forti". S'indicavano una serie di comportamenti che la famiglia dovrebbe adottare per evitare che i figli arrivino all'inferno della droga. Come spesso accade in pubblicità, nonostante la validità della campagna, dopo due anni fu cambiata. La prosecuzione delle campagne è invece essenziale.

Occorrono quindi serie ricerche di base, la prosecuzione delle campagne per un tempo sufficiente e un completo marketing mix, più, ovviamente, una comunicazione logica e coerente. Per anni si è fatta pubblicità affinché gli italiani visitassero i musei, scoprendo poi che i musei non erano visitati perché erano aperti quando tutti lavoravano, mentre erano chiusi quando la gente li avrebbe potuti visitare. È bastato cambiare l'orario e gli italiani hanno affollato i musei.
Nei quattro anni in cui sono stato presidente di Pubblicità Progresso, la prima campagna che fu fatta fu quella sulla donazione del sangue. La McCann Erikssonn fu scelta per realizzare il brief. Mi occupai di quella campagna e dei tre segmenti di pubblico focalizzati. Il primo segmento si riferiva a chi non dona il sangue per paura del prelievo ("Non sopporto l'iniezione"); Il secondo segmento era quello degli asociali ("Non mi riguarda"); il terzo, quello degli ignoranti ("Non sapevo che servisse sangue"). Si scelse, come insegna il marketing, il target group che richiedesse il minore sforzo possibile ad essere convinto: quello degli "ignoranti". Infatti, fare una campagna per convincere chi ha il terrore di farsi bucare una vena o farla cercando di sviluppare il senso della socialità negli asociali è una battaglia persa in partenza. Ma sorse il problema di dove far effettuare la donazione.Furono allora coinvolti l'Avis, la Croce Rossa e l'Associazione dei centri Trasfusionali per intensificare le azioni di raccolta sangue, fornendo loro dei cartelli che dicevano: "Dona sangue dove vedi questa insegna". Dopo tre mesi di campagna, riuscimmo ad aumentare il numero di donatori del 100% e la raccolta del sangue del 50%. Sempre come Pubblicità Pogresso, ho sviluppato una campagna a favore dell'auto-miglioramento culturale nella quale un signore era intervistato da una voce fuori campo che gli domandava: "Ma cosa fai la sera? Leggi? Di computer cosa sai, molto?…" La persona a mano a mano indietreggiava, scavandosi la fossa con la sua ombra che veniva proiettata sinistramente sulla terra scavata. Cercai il modo di aumentare l'interesse della campagna di fronte ai singoli cittadini. E decisi di coinvolgere la scuola. Gli studenti avrebbero fatto da cassa di risonanza. Riuscii a realizzare un'azione coordinata che informasse e coinvolgesse studenti, insegnanti e presidi delle scuole. L'anno dopo ottenemmo uno spazio da Radio Rai per una trasmissione alle dieci del mattino. Affascinato da questo successo, pensai ad una campagna che invece di presentare la festa del papà o della mamma, presentasse la Giornata dell'auto-miglioramento. Siccome Pubblicità progresso, per statuto, deve fare da cassa di risonanza a temi di volta in volta diversi e non può continuare a trattarli per cinque anni di seguito, la campagna è finita miseramente perché nessuno si è assunto la responsabilità di continuarla. Una campagna che invece venne proseguita fu quella contro l'Aids. Questo è stato l'unico caso istituzionale di successo. L'altro successo di Pubblicità progresso è che quasi il 90% degli italiani conosce bene la differenza fra pubblicità sociale e commerciale sostenendo che apprezza la prima perché fa pensare, perché si sforza di farci diventare più bravi e quindi, in quanto tale, interessa, al punto che molti sostengono che si potrebbe fare meno pubblicità commerciale a favore di quella sociale.
Avviandoci alla conclusione, si possono individuare dunque alcune regole da seguire:
1) anche se si fa comunicazione sociale, le ricerche servono perché aiutano a capire il problema da risolvere.
2) la comunicazione funziona solo se si imposta un processo di marketing mix sociale. Prima bisogna innescare tutti i processi globali per affrontare il problema e solo successivamente si può cominciare una campagna di comunicazione sociale, altrimenti non si ottiene nulla. Insisto: bisogna fare un vero communication mix, e non solo presenze in televisione.
3) discontinuità delle comunicazioni sociali: mai cominciare una campagna sociale se non si hanno sufficienti mezzi per pianificarla almeno per due o tre anni.

Sintesi intervento 2005 del Presidente della TP Gianni Cottardo

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